Torre Flavia, la vendetta. La storia di Maurosulmuro

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Maurosulmuro è un lomografo che ha catturato la nostra attenzione con la pubblicazione del suo recente album "Ladispoli. Torre Flavia, la vendetta". Incuriositi siamo andati a fare quattro chiacchiere con lui e siamo rimasti sorpresi ancor di più dalle sue parole.

Ciao Mauro, ti andrebbe di raccontarci qualcosa di te?

Certamente e con piacere. Vediamo un po’. Iniziamo con la professione: sono un informatico fin dalla notte dei tempi e come amo dire, fin da quando i computer erano di legno. Vivo in provincia di Roma, circondato dal mare e da boschi e monti. Ma non so stare fermo. Ogni occasione è buona per conoscere nuovi luoghi, anche quelli a pochi chilometri che magari diamo per scontati, ma a ben guardare hanno belle storie da raccontare. Sono un po’ istintivo e non amo troppo il ragionamento. Prima faccio, poi ci penso e qualche volta raccolgo i cocci. E nella fotografia spesso riverso questo mio aspetto. Ho finito il rullino prima ancora di pensare se valesse la pena di scattare. Lascio che sia il mio animo a premere il tasto. Mi piace scrivere e mi piace tentare di trasformare quello che ho dentro nelle immagini che provo a catturare. Amo camminare, amo scoprire nuovi posti, amo incontrare nuove persone e nuove esperienze. Amo trasformare un’idea in una rappresentazione che a guardarla tempo dopo mi racconti tutto quello che gli occhi non sono stati in grado di dirmi subito.

Credits: maurosulmuro

Quando è nata la tua passione per la fotografia?

Tanti, troppi anni fa. Ho cominciato con una Olympus OM10 e il suo manual adapter. Nel tempo ho cambiato più di una macchina fino ad approdare al digitale agli inizi del 2000. Poi, un paio di anni fa, qualcosa in me si è guastato; la fotografia digitale ha perso tutta la magia, di colpo, dall’oggi al domani. Macchine chiuse nel cassetto, nessuno desiderio di sentire il "clack" degli otturatori.
Ho ceduto tutto tranne una macchina, la 5D a cui sono affezionato, poi, trascorsi diversi mesi, ho iniziato a guardare indietro, a curiosare sul web. Il richiamo si è fatto forte. Volevo vedere se ancora c’era la possibilità di accendere nuovamente quel fuoco che era nato tanti anni addietro e che si era spento in modo tanto repentino. C’era qualcosa che mi mancava, un vuoto che in qualche modo dovevo colmare. Ho iniziato a guardare le aste online a cercare nei mercatini tra la ferraglia ammuchiata se qualcosa smuoveva il mio blocco. Mille domande, "ci sono ancora le pellicole?", "qualcuno ancora le sviluppa?", tanti quesiti a cui dare una risposta.

La scoperta di Lomography è stata la scintilla che mi ha ridato quella voglia di riprendere in mano una macchina fotografica. Vedere la storia di fotografi che scattano, sviluppano, tornano a quelle origini magiche che la fotografia digitale, nonostante i suoi innegabili vantaggi, ha fatto perdere, ha dato il via a una seconda vita.

Ecco, la rinascita, scattare con macchine vecchie tra cui c’è la nonnina, una rolleiflex biottica il cui numero di serie si perde a metà del secolo scorso. Ho costruito un piccolo parco fotografico co Canon, Minolta, Nikon, Altis, Polaroid con cui ogni giorno scatto qualche fotogramma. Pellicole nuove e pellicole trovate nelle cantine. Le Berlin e le Potsdam, le Metropolis, le Lomochrome: la magia del "non ho un display, ma devo aspettare lo sviluppo sperando di aver fatto un buon lavoro" alla fine ha vinto.

Abbiamo notato di recente dei tuoi bellissimi scatti in bianco e nero. Ti andrebbe di descriverceli?

Non sono mai riuscito a decidere quale bianco e nero si adattasse meglio a me. Non parlo di stile, parlo di vestibilità: ho un carattere mutevole e sono sempre alla ricerca di una pellicola che meglio si adatti al momento. Un giorno voglio un contrasto morbido, il giorno dopo voglio qualcosa di duro. Così sperimento, cambio pellicola, cambio sistema di sviluppo, tempi, temperature. Possiamo dire che gioco che la rappresentazione dei miei pensieri trasferiti su pellicola. Alla fine, in una ricerca che non terminerà, chi l’ha vinta sono quei contrasti forti, immagini prese sul campo di battaglia, tra una corsa a prendere l’ultimo treno della giornata e il ritaglio di tempo la domenica.

Credits: maurosulmuro

Ci ha colpito molto il titolo dell'album "Ladispoli, Torre Flavia, la vendetta." Leggendo nella descrizione delle fotografie, c'è stato un prima e un dopo Torre Flavia. Ti andrebbe di raccontare anche noi questa tua avventura?

In realta’ il prima e il dopo TorreFlavia hanno un motivo ben preciso quanto semplice. La fotografia analogica richiede le sue vittime. Imparare significa anche capire, errare e ricominciare. Sto imparando nuovamente a lavorare con le pellicole, leggendo gli insegnamenti e le esperienze di altri, facendo mio tutto quello che trovo sul web e sperimentando tanto. Passo intere serate a respirare l’odore degli acidi. Chiedo, faccio domande, leggo tanto. E spesso faccio disastri… ma nelle cadute trovo la molla per proseguire.
Abito vicino questa torre circondata da belle spiagge e un discreto mare.

La prima volta che ho deciso di usare la Rollei con una bella Ilford ho sbagliato le quantità dei liquidi da usare e le foto sono venute fuori sviluppate a metà. Una lezione importante che mi ha fatto capire quale concentrazione era da tenere quando avevo per le mani una pellicola da trasformare in magia.

La seconda volta, complice un tempo pessimo, ho ripetuto l’esperienza consapevole che errare avrebbe causato nuovamente la perdita dell’intero lavoro. Una giornata di vento e pioggia mi hanno portato fortuna e gli scatti sono quelli che vedete.

La vendetta: dovevo recuperare l’errore e dimostrare che almeno questo lo avevo capito. Forse ci sono riuscito.

Credits: maurosulmuro

Come sviluppi le tue fotografie? Possiedi una camera oscura?

Magari. Ma per il momento mi sono organizzato in modo molto più semplice. Ho scoperto che per caricare la tank non serviva un’intera stanza buia ma era sufficiente una DarkBag, ovvero una sacca dove era possibile tirare fuori la pellicola dal suo contenitore lavorando in tranquillità nella normale luce ambiente. All’inizio ero terrorizzato: mi spaventava l’idea di non vedere quello che facevo. Anche lì ho fatto i miei errori. Poi, piano piano ho imparato, ho capito quali movimenti fare e come ascoltare quello che i polpastrelli sentivano. Ora caricare una Tank è questione di attimi. Metto nella sacca pellicola, contenitore, forbici, apribottiglie e si fa tutto in una manciata di secondi.
Dopo di che, con metodo molto casalingo, ma mi sembra funzionare anche se ci sono tante cose ancora da capire e da mettere a punto, parto con i liquidi.

Credo, spero non a torto, che molti pensino che sviluppare una pellicola sia una cosa che solo pochi sanno fare. A tutti dico: NO, lo può fare chiunque, con semplicità e con strumenti di facile reperibilità, un contenitore di Ikea, un termometro per alimenti, le forbici della cucina, l’apribottiglie che tutti abbiamo nel cassetto, bottiglie che si trovano facilmente in commercio e i risultati sono garantiti.

Basta fare attenzione e lavorare con ordine. Poi scanner di buona qualità e via. Prossimo passo, più impegnativo mettere su una vera camera per stampare su carta. Ora non ho uno spazio adeguato, ma mai arrendersi. Una soluzione prima o poi la trovo.

Cosa pensi delle passeggiate fotografiche invernali? Trovi più ispirazioni da queste o è indifferente per te come fotografo?

Ogni stagione ha la sua magia da conquistare. L’importante è entrare in sintonia con il momento.
Inverno, primavera, estate o autunno. Sempre e comunque. Tutte le stagioni sono importanti per prendere la macchina e scattare, dentro e fuori casa. L’inverno è magico anche quando piove e fa un bel freddo. Quando in giro non c’è nessuno e tutti vorrebbero essere in casa davanti una zuppa calda. Una passeggiata d’inverno con le sue atmosfere scure, con quel raggio di sole in lontananza tanto agognato, con le luci, le gocce di pioggia, il vento; tutto è un vero piacere per l’animo.
È meraviglioso camminare in luoghi silenziosi, dove nessuno si azzarderebbe a mettere il naso, portando i propri pensieri come compagni di passeggiata cercando di dargli un corpo attraverso i propri strumenti fotografici. Quello che conta è fare spazio alla propria musica interiore e via: giacca a vento, cappello, fuori a scattare.

Credits: maurosulmuro

Non so voi, ma noi nel leggere le sue parole ci siamo immaginati di essere lì con Mauro. Seguirlo nelle sue passeggiate e, presi per mano, accompagnati nella sua vita da lomografo fatta di sperimentazioni e di errori, di gioie e soddisfazioni così come di intoppi. Questo suo racconto è stato come aprire una finestra e respirare aria fresca. Perché dalle sue parole ci sono arrivate anche le sue emozioni. Credo che anche voi abbiate sentito lo stesso battito e vogliamo sapere nei commenti quali sensazioni avete provato leggendo questa intervista.

Per vedere altri scatti di Mauro, potete andare sulla sua LomoHome MAUROSULMURO!

2020-01-30

One Comment

  1. robertozuena
    robertozuena ·

    Conosco Mauro da un pò, incontrati in un magazzino abbandonato nella dimensione di Altroquando a Roma, mentre dei Writer coloravano quelle pareti morte da anni, ma mi sembra di esserci cresciuto affianco da sempre, come dicono nelle nostre famiglie, forse con un pizzico di invidia, siamo "fidanzati" perché ci scambiamo compagnia al telefono più volte al giorno: Ho vissuto il suo cambiamento per questa strada del "ritorno" che non condivido, essendo io invece un fotografo 3.0 digitale e mirrorless, e gli ho trovato io la rolley in un mercatino internet, ma guardarlo come un bimbo felice quando sfodera una zorky, o mentre mi racconta di come ha cannato una pellicola allo sviluppo per poi imparare da quell'errore, mi fa comprendere quanto quello che ci piace sia importante e non le mode o la tecnologia. Leggervi è stato entusiasmante come sempre con Mauro.
    Ciao Roberto
    www.robertozuena.it

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